Bitcoin Mining e il consumo energetico

Bitcoin Mining e il consumo energetico

By Benson Toti - min. di lettura
Aggiornato 16 March 2023

A causa delle mining farm alcuni paesi si trovano a dover affrontare problemi relativi alla carenza di energia elettrica per la propria popolazione. Problemi dovuti alla diffusione di tali impianti sono già sorti in Islanda, Cina e il Canada. Ma prima di affrontare la questione, ricordiamo alcune nozioni di base su Bitcoin e Blockchain e vediamo in che cosa consiste il mining. Per una guida completa sul Bitcoin consulta le risorse già presenti sul nostro sito.

Bitcoin (BTC) è considerato una criptovaluta e un sistema di pagamento globale, introdotto da Satoshi Nakamoto nel 2009. A differenza della valuta a corso legale quest’ultima è completamente virtuale: non esistono né banconote né monete fisiche. Si tratta di una moneta decentralizzata, ovvero per la quale non esiste un organo centrale di controllo, basata sulla blockchain.

La blockchain invece consiste in una catena di blocchi di dati lineari che registrano tutte le transazioni avvenute: una sorta di libro contabile pubblico distribuito, con delle particolari caratteristiche. Pertanto il sistema risulta inviolabile, il che lo rende particolarmente attraente per gli investitori.

Essendo un sistema decentralizzato, sono gli utenti attivi (quelli che partecipano attivamente alla rete Bitcoin) a conservare l’intera catena di blocchi con tutte le transazioni effettuate e a garantire l’integrità del sistema. Alla fine di ogni catena vengono aggiunti dei nuovi blocchi, e coloro che aggiungono questi blocchi nella catena vengono definiti “miner”.

Che cos’è il mining e come funziona?

Bitcoin mining deriva dal termine inglese “to mine”, ovvero estrarre. Questo processo di estrapolazione di Bitcoin può essere paragonato, metaforicamente, all’attività di estrazione dell’oro dai suoi minerali, mentre la professione del miner al classico minatore in miniera. Al posto della tipica scure, il minatore odierno è dotato di un software particolare che permette di monitorare tutte le transazioni, attività per la quale si riceve un compenso, definito reward.

Scendendo nel dettaglio si può dire che il mining è un processo di archiviazione dei registri, resa possibile dalla potenza di calcolo del computer utilizzato. Dunque, lo scopo del miner, appunto, è quello di risolvere degli algoritmi tramite la potenza di calcolo della propria macchina. Dal momento in cui la quantità dei Bitcoin è limitata a 21 milioni, l’algoritmo ha una difficoltà crescente. Inizialmente era possibile minare bitcoin direttamente dal computer di casa o addirittura utilizzando uno smartphone, successivamente si è passati a utilizzare delle potenti schede video dedicate.

Nel 2013, quando il prezzo di Bitcoin era salito ormai a 100 dollari, alcuni minatori hanno cominciato a organizzarsi insieme per estrarre lo stesso blocco e dividersi la ricompensa. Man mano che l’algoritmo diventava sempre più difficile venivano introdotti sistemi sempre più complessi per la sua risoluzione. Così nacque ASIC (Applicatio-Specific Integrated Circuit), un hardware dedicato appositamente all’estrazione dei blocchi di Bitcoin. Le prime mining farm basate su questo hardware sono apparse in Cina, Islanda e Canada, e qui torniamo all’argomento centrale di questo articolo.

bitcoin

Bitcoin Mining in termini energetici

La quantità di energia elettrica impiegata per il mining di Bitcoin supera il consumo energetico di 159 paesi, tra cui l’Irlanda e la maggior parte degli stati dell’Africa, come riferisce Power Compare. “Se i livelli di consumo dovessero crescere con la stessa velocità, entro febbraio del 2020 il Bitcoin Mining assorbirebbe l’energia elettrica dell’intero pianeta (21 776 terawattora)”, si legge nel rapporto. In Islanda, per esempio, vivono circa 340 mila persone. L’energia elettrica del paese viene prodotta principalmente dalle fonti rinnovabili. Il consumo annuale energetico del paese è di circa 700 gigawattora, mentre per tutti i progetti di mining in programma, per il funzionamento dei computer e dei sistemi di raffreddamento, secondo le stime di HS Orka, ci vorranno più di 840 gigawattora. Dunque, se tutti questi progetti venissero realizzati, il paese si ritroverebbe in poco tempo senza l’elettricità. Nel dicembre dell’anno scorso Nicole Kobie ha scritto sulla rivista statunitense Wired:

Secondo il Bitcoin Energy Consumption Index, la rete di computer del sistema Bitcoin usa 3.4 gigawatt: un watt è un joule al secondo e il computer usa circa 60 watt.

In termini di distribuzione delle risorse energetiche, consumare una tale quantità di energia elettrica per una “produzione” virtuale di moneta, con l’unico scopo di ottenere un nuovo strumento di speculazione è una follia. Tuttavia, dopo la recente diminuzione del valore della criptovaluta, molti dei miner sono usciti dal “gioco”, e dunque il mercato, in un modo o nell’altro, si sta lentamente autoregolando.


Se da un lato lo sviluppo delle criptovalute in tutto il mondo indica che il consumo energetico sia destinato a crescere, dall’altro molti cominciano a rendersi conto della futilità del continuo aumento della capacità di produzione, considerando il consumo in cui tutto ciò sfocia. In fin dei conti, molto dipende dallo sviluppo della blockchain e del mining di altre monete, come il Bitcoin Gold, venuto alla luce in seguito ad un hard fork di Bitcoin. Bitcoing Gold è supportato dai wallet come Coinomi e Freewallet, con l’obiettivo di rendere nuovamente decentrabile l’attività di mining. Scopri tutto sul Bitcoin Gold, e usa Bittrex, la piattaforma di exchange que supporta questa moneta e con cui puoi cominciare subito a fare trading online.